Era un pomeriggio di un giorno da cani a Spoleto. Pioveva che Dio la mandava, si dice da noi.
Erano in programma quattro proiezioni in due giorni.
Dopo la prima, l’Assessora mi chiamò accanto a sé, dopo l’applauso sui titoli di coda, e se ne stava lì dritta come un fuso, senza dire nulla. Passò un tempo interminabile e quando aprì bocca si mise a piangere. Cominciamo bene, pensai. Rideva e piangeva. Sembrava più un pianto liberatorio che di dolore. Presi il microfono tra le mani e cominciai a raccontare del film e a rispondere alle domande. Fissavo una piccola signora seduta in prima fila, minuta ed elegante, coi capelli grigi, che non aprì mai bocca, ma aveva un volto rassicurante.
Poche ore dopo ci fu un’altra proiezione e, di nuovo, quella signora aveva pagato il biglietto per sedersi sempre in prima fila. Il pomeriggio seguente, di nuovo era lì. Morivo dalla curiosità di sapere perchè, ma all’uscita riuscii solo a darle la mano e a costringerla ad abbracciarmi. Poi un signore mi volle parlare e la persi di vista. Si trattava di un uomo magro, canuto, con lo sguardo basso che mi disse: “Grazie per avermi fatto innamorare di nuovo del mio lavoro, perché ormai non ci credevo più”. Era un infermiere di un hospice locale. E’ così che vedo gli operatori che si occupano di cure palliative, come dei supermen che siedono su una montagna di criptonyte.
Non tutti vedono le stesse cose in questo film.
Gianluca, al quarto anno di un istituto professionale mi ha detto: “Del film mi è piaciuta la quotidianità. Meris, Mario, Carla e Ivano sono persone normali che fanno cose normali. Mi è piaciuto che nel film nessuno avesse il dovere di essere perfetto o eroico. Persone normali, con le piccole cose di tutti i giorni”.
Un amico, un uomo concreto, di quelli che sanno bene quanto la terra sia bassa, e quanto fugace sia la vita – infatti non se lo fa dire due volte di salire sul palco, tirar fuori i tatuaggi e prendere in mano il basso – mi ha detto: ”Alla fine del film molti commenti erano concentrati sulla questione del dolore e su come rappresentarlo. Io, invece, sono rimasto colpito dalle due storie d’amore, un amore totale, senza compromessi. Quello che provo ora è un po’ d’invidia per chi può dire, nella vita, di essere stato amato con tanta forza”. Già, l’amore, sempre l’amore. Mario e Meris, Carla e Ivano. Due storie che vincono la morte, come il compasso di John Donne.
Un giovane regista che ha visto il film a Firenze mi scrive: ”Il tuo film mi ha trasmesso delle emozioni fortissime che mi sono portato dentro per giorni. Un misto di profondo dolore accompagnato da una sorprendente bellezza. Il tuo film sulla perdita l’ho trovato di una disperata vitalità, bellissimo. Guardando il tuo film mi sono ricordato ciò che mi piace di più del cinema, quella minuscola possibilità di rallentare il tempo, creare memoria delle cose che riteniamo importanti, poter sfidare in qualche modo persino la morte.”. Un altro mi ha scritto: “Ho sorriso in molte scene del film e su di me, le situazioni delicatissime rappresentate sono apparse come al limite del surreale. Bellissimo”.
Una ragazza che non conoscevo, invece, mi ha scritto del compagno, di come, dopo il film, lo abbia trovato fuori dal cinema, solo, a piangere, col viso affondato nelle mani. Ne era felice, perché finalmente lo vedeva esternare delle emozioni e mi ringraziava, come se accidentalmente avesse scoperto un doppio fondo in quella cosa che già amava tanto. Penso spesso a quel messaggio.
Fin dall’inizio sapevo che il film avrebbe innescato ricordi, smosso il vissuto e sapevo di dover essere cauta e lasciare sempre un raggio di sole a cui ci si potesse aggrappare. Questo è forse il pensiero costante che ho avuto dall’inizio.
Ma a me che effetto fa il film?! Non saprei. Ogni volta è un’esperienza diversa.
Però ci sono due momenti precisi in cui mi si ferma il cuore e mi sento travolta da un fortissimo senso di bellezza. Ha ragione quel giovane regista, il cinema rallenta il tempo e crea memoria delle cose importanti. Quei due momenti mi erano passati inosservati, ma nella solitudine della visione del girato, quelle due sequenze mi rivelarono la bellezza che si era consumata nelle stanze di Meris e di Ivano e tra le mura di casa mia.