Aiutare gli altri è aiutare anche se stessi

Mi hanno sempre dato sui nervi quelli che mi compativano perché mi prendevo cura di mia madre.

Come se farlo fosse un fardello, non un piacere. Invece a me piaceva, era un momento che ritagliavo tutto per noi; ci facevamo delle gran risate e ora ho dei bellissimi ricordi da richiamare alla memoria. Come quelle volte che la portavo a fare i controlli – e lei odiava l’ospedale – ma le facevo credere che saremmo andate a fare shopping di buon’ora. Appena passavamo davanti alla chiesetta di Ca’ de’ Frati, lei capiva che la destinazione era l’ospedale e mi piantava un gran muso lungo, che le passava solo quando, alla fine delle visite, la portavo al bar a mangiare un dolcetto col cappuccino, trasgressione assoluta, per lei che aveva il fegato malconcio. Se era pomeriggio, le prendevo un gelato cioccolato, nocciola e crema. Le piacevano le cose classiche.

Chiacchierando con Marina, volontaria della Casa Madonna dell’Uliveto, ho provato una grandissima tenerezza e un’emozione, quando lei mi ha detto:

“Gli anni della malattia di mio padre sono stati gli anni più belli della mia vita”.

Le sono venuti gli occhi lucidi. A me è venuto un groppo in gola, ma non di dolore, bensì di nostalgia, perché in quel momento mi sembrava di sentire ancora il profumo delle creme di mia madre. Mi sembrava lì, a portata di mano, invece non c’era più.

“L’esperienza a casa è stata pesante, ma ho avuto un grandissimo ritorno”, mi aveva detto poco prima. Come si fa a spiegarlo? Forse l’unico modo è dire che dopo i sei anni in cui Marina si è occupata di suo padre, scegliendo di fare un part-time nel laboratorio dell’ospedale, ha deciso di andare in hospice a Montericco per offrirsi come volontaria.

L’esperienza di cura è un’esperienza estrema, può svuotarti e riempirti di cose nuove al tempo stesso.

Credo che sia questo che è successo sia a Marina che ai tantissimi meravigliosi volontari che militano in vari ambiti del sociale, tra cui le cure palliative. Nasce il bisogno di offrire ad altri qualcosa che ha arricchito noi, di mettere in circolo un dono ricevuto, di spezzare quel “do ut des” che ci mette sempre al centro dei nostri pensieri e delle nostre azioni. Marina parla di apertura, di ascolto. Ha fatto il tirocinio in accoglienza e, per il momento, ha deciso di fermarsi lì, sulla porta, ad accogliere chi entra, spesso spaurito e sperduto, ad offrire un sorriso o quel silenzio che ti fanno prendere coraggio e chiedere dov’è la stanza che cerchi, dov’è la capo infermiera o chi deve darti informazioni che non ti piaceranno e ti strazieranno il cuore. Pensava che le sarebbe piaciuto stare accanto ai pazienti, ma Marina è una che si conosce bene, così, dopo il tirocinio ha capito che “…anche come segretaria, in un posto come quello, potevo avere una grande utilità. Ho comunque un rapporto con i pazienti.

Quando escono da soli in giardino o vengono accompagnati, ci scambiamo due parole, un sorriso o una risata.

Dipende. Questa dimensione ora mi sta bene. Forse il contatto diretto, dopo 6 anni di assistenza a mio padre, dopo vari lutti di amiche e persone care, è ancora fuori dalla mia portata”. Già quando inizia la salita della collina che la porta all’hospice, Marina cerca di lasciare i suoi pensieri a valle.

La cura le ha insegnato la disponibilità; la formazione a vivere “qui e ora”.E’ questo che porta in hospice, il suo essere “qui e ora”, la sua gentilezza, “…non so se offro il mio amore. Sicuramente offro il mio esserci, la mia presenza, la mia disponibilità all’ascolto, la mia apertura”.

Marina bussa, entra in punta di piedi e viene ricompensata con l’affetto e il sorriso dei pazienti, ogni volta che passa col caffè. Sono piccoli rituali che scandiscono la giornata e la riempiono di piccoli gesti gentili.

Certo, l’esperienza di Marina può non essere quella di tutti. Altri non ne escono così, sentono solo il dolore e non vedono un’opportunità nel prendersi cura, sentono solo di essere stati svuotati. Succede. E’ normale tanto quanto sentire l’opposto. A volte mi avvicino a chi so che ha passato un’esperienza come la mia, non diversa da quella di Marina, e mi sembra che parliamo un linguaggio segreto, nostro, do per scontato che in fondo ci sia qualcosa che ci lega, e con Marina è così, ma con altri non lo è. Del resto, le emozioni non mentono. A volte sono solo stati troppo soli.

“Sai -mi dice Marina- la decisione di prendersi cura di una persona cara è molto impegnativa. Deve venire dal cuore, ma ci deve essere anche la capacità e la possibilità economica di poterlo fare. Si deve essere pronti a dare se stessi, ma si deve anche riuscire a mantenere un giusto distacco. Prendersi cura di un proprio famigliare non è come farlo con un estraneo. Io consiglio sempre di chiedere aiuto. Noi abbiamo cambiato medico, ci siamo lasciati aiutare e questo mi ha permesso di vivere bene quell’esperienza così dura.

Mi sono riappacificata con mio padre, dopo anni in cui non andavamo d’accordissimo. Prendersi cura di una persona cara è fattibile e a me ha dato un grandissimo ritorno emotivo”.

2 Comments

  1. BEATRICE DALL'OLIO

    Grazie per questa bellissima testimonianza, che comprendo molto bene, per averla in qualche modo condivisa. 10 anni fa infatti moriva prematuramente mia sorella, per una carcinosi peritoneale diagnosticata quand’era oramai troppo tardi. Moriva dopo due anni di malattia, con gli ultimi 40 gg di vita trascorsi insieme all’Hospice. Fu lei stessa, ben cosciente di quel che l’attendeva, a chiedermi esplicitamente di accompagnarla in quel percorso. E di farlo dicendole sempre solo la verità. E così fu. Io sono medico, ma la forza ed il coraggio di starle accanto, di esserci, me li ha donati lei. Ed è proprio vero: è stato uno dei periodi più belli della mia vita, perché quel che facevo, tutto quello che vivevamo e sperimentavamo insieme, era colmo di senso. Grazie, Beatrice

    • theperfectcirclefilm

      Carissima Beatrice, La ringrazio molto per queste parole. So bene quanto dolore si deve affrontare per vedere un po’ di luce oltre la siepe. Ma ne vale sempre la pena. E’ un po’ come salvarsi la vita proprio mentre questa se ne va. Sua sorella si sarà sentita molto amata e, dopo tutto, non è che ci serva tanto più di questo per chiamare un’esistenza vita. Un abbraccio

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