Non troppo tempo fa sono stata ad un corso di formazione sulle cure palliative che iniziò con “My Way” di Frank Sinatra.
“Ora che la fine è vicina e io sono di fronte al sipario che sta per calare, amico mio, ti racconterò di me e so quel che dico”.
Frank racconta di una vita piena, con qualche rimpianto, ma non troppo, comunque una vita vissuta a modo suo. Nella canzone, “the Voice” non dava istruzioni su come avrebbe voluto finire quella vita, ma è probabile che anche quella strofa sarebbe finita con un “a modo mio”. Mi sembra sia proprio questo il succo attorno cui ruota la discussione sulla “Legge in materia di consenso informato e dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari, al fine di evitare l’accanimento terapeutico” che a breve approderà in Senato. Possiamo semplificare chiamandola Legge sul Fine-Vita (anche se di fatto non c’è ancora un articolo specifico sul fine-vita) oppure sul Testamento Biologico. Mi verrebbe quasi da correggere quel biologico in “spirituale”, perché la morte non è certamente solo la fine delle funzioni biologiche, essendo noi non solamente un ammasso di cellule, altrimenti il problema della dignità non si porrebbe. Di certo questa Legge c’entra con le volontà della persona rispetto ai trattamenti sanitari, onde scongiurare un accanimento, che più che terapeutico definirei clinico, affinché si possa concludere con “a modo mio” anche la strofa che fa calare il sipario.
Sembra una questione semplice, “a modo mio è come decido io!”, invece è molto complessa. I malati oncologici e quelli cronici che abbiano attivato un percorso di cure palliative sono quelli più protetti. Attorno a loro c’è un’equipe che sa gestire bene il fine-vita, lo fa assieme alle famiglie, con o senza direttive scritte, e le persone vengono trattate con dignità. La sedazione terminale e profonda è praticata già da qualche anno e pone fine alle sofferenze inutili senza accorciare la vita delle persone.
Al di fuori di questo ambiente, si muore ancora troppo male, il “fare tutto il possibile” può tradursi in accanimento e la volontà del paziente rimane inascoltata. Una legge che inquadri questo momento delicatissimo della vita porta con sé riflessioni etiche e problematiche legali e organizzative non di poco conto. Questa complessità andrebbe affrontata con complessità, ma l’informazione non aiuta.
Infatti, il giorno della Discussione Generale della Legge sulle DAT alla Camera, i giornali sono usciti con la foto dell’aula vuota insinuando il disinteresse della classe politica, invece di raccontare il contenuto delle relazioni esposte dai presenti. La foto dell’aula vuota ha fatto il giro dei social network, suscitando l’indignazione anche delle maggiori associazioni che operano nel fine vita.
“Non mi abbandonare!” è la supplica più ricorrente dei pazienti in forte condizione di fragilità.
Pensare a quelle parole e vedere quell’aula vuota ha suscitato non poca rabbia. Tuttavia, nessun giornalista si è preoccupato di ricordare che la Discussione Generale prevede che solo i relatori dei maggiori gruppi parlamentari prendano la parola, dopo essersi registrati per tempo, e che nessuna “discussione generale” sia davvero possibile in quella circostanza. Il valore di quelle sedute è per lo più la registrazione agli atti, che non è cosa di poco conto, perché una società fondata sugli atti iscritti, come la nostra, non può prescindere da momenti rituali come quello. Invece, quando la partecipazione era necessaria c’è stata eccome. L’Onorevole Ghizzoni, durante il Convegno sulla “Coscienza nel Fine-Vita” tenuto a Bologna da Fadoi e Animo ci racconta che il 4 Aprile ci sono stati 43 interventi di persone diverse e il giorno dopo 67, a dimostrazione della passione suscitata dalla discussione.
Immaginate se il 14 marzo i giornali fossero usciti con una sintesi delle 20 relazioni della Discussione Generale; quanti click avrebbero avuto?
Ma a me, come ai presenti al convegno, interessava capire come stessero andando i lavori. L’On. Lenzi, relatrice della Legge, ci ha spiegato che il punto di partenza è stato inquadrare il consenso informato nel rapporto tra medico e paziente, pensando una legge ispirata al “diritto mite”, che lasciasse ampia libertà al medico, quindi inserendo il tempo dedicato al consenso nel tempo della cura.
Sono tre i principi costituzionali di pari grado che hanno cercato di tenere in equilibrio tra loro e ottemperare: il diritto alla vita, alla salute e alla libera scelta. Non è semplice tenerli assieme e non violare gli articoli costituzionali che si fanno carico di ciascuno dei essi.
La proposta elaborata si basa sulla convinzione che ci sia una profonda differenza tra causare attivamente la morte e sospendere le cure. Infatti nel testo non si parla di eutanasia (ma prima o poi anche questo capitolo bisogna che venga affrontato). E’ stato delimitato il campo della somministrazione delle cure, che riguarda quelle prescritte da un atto medico (come l’alimentazione forzata), ma non l’idratazione via flebo.
L’articolo sul fine-vita, che ancora non c’è, cosa dovrebbe contenere? Per questo ci sono varie proposte: no all’accanimento, no agli interventi futili e sproporzionati, ricorso a sedazione palliativa terminale e profonda. Credo che l’aspetto più importante e critico sia il “non abbandono del paziente”. Il servizio medico deve garantire una continuità al domicilio. Il paziente e la famiglia non devono essere lasciati soli. E’ sempre questa la prima richiesta di un paziente in gravi condizioni, “Non mi abbandoni”, dice al medico, in preda alla paura. Questo investe aspetti organizzativi non di poco conto, nonché un uso delle risorse che faciliti il passaggio dalla cura all’assistenza. E soprattutto si tratta di fare il punto su cosa significhi “dignità”, che valore vogliamo darle, come intendiamo preservarla o ritrovarla.
Dopo un anno passato a contatto con il mondo delle cure palliative, portando in tante città The Perfect Circle, molti di questi contenuti li avevo dati per scontati e acquisiti, invece si muore ancora troppo male fuori dagli hospice e dalle reti di cure palliative. Una regione come l’Emilia-Romagna ha una popolazione pari a circa l’1% degli abitanti (50.000 persone) che dovrebbe usufruire di cure palliative. Invece il 40% non ne fa uso negli ultimi 30 gg. di vita (indicativo il lasso di tempo in cui verrebbero inscritte le cure palliative secondo questo sondaggio; qui aprirei una parentesi sull’importanza di un affiancamento precoce delle cure palliative alla cura attiva della malattia, ma sarebbe una lunga divagazione); il 12% usufruisce di un servizio palliativistico domiciliare; il 15,9% dei servizi di un hospice; il 30,9% usufruisce solo dei servizi di assistenza domiciliare programmata. Sembra che molto del lavoro da fare sia in reparto, sui medici di base e sulle famiglie, affinché non accada più che una persona in fase avanzatissima di malattia finisca al Pronto Soccorso e passi gli ultimi istanti della propria vita in attesa di un letto o tra un apparecchio diagnostico e l’altro, come prevede l’iter procedurale che si attiva con il ricovero nei reparti di emergenza. A breve la “palla” passerà al Senato e vedremo cosa accadrà. La speranza è che si arrivi ad approvare la Legge entro fine anno e che si tratti di una buona Legge. Potrebbe aiutare a spingere la Sanità nella direzione di un’umanizzazione della cura che appare sempre più necessaria.